Sono molto grata ad Italo Calvino per aver dato parole a un pensiero che sento mio da sempre. Premetto che non sto leggendo “Il sentiero dei nidi di ragno”, per la verità l’ho letto a forza anni e anni fa, per via di quegli inutili compiti delle vacanze estive che consistono nel fare il riassunto di un libro a scelta tra i cinque o sei titoli proposti dal professore e che come risultato hanno solo che tutti scelgono il più breve della lista, leggendolo controvoglia, oltretutto. A dire il vero non ricordo neanche chi abbia pronunciato questa frase, nè in quale ambito. Molto meglio così: posso concentrarmi sul significato di una frase che ritengo bellissima, senza farmi distrarre dal contesto che l’ha generata.
Dicevo, che Italo Calvino ha condensato in questa frase un pensiero che mi accompagna da sempre senza riuscire a codificarlo in parole, così vi racconto il mio lungo ragionamento che alla fine – mi direte – si rissume in una frase “Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo”….appunto!
Sono spesso attratta dalla biografia dei maestri e dei protagonisti della storia, perchè molti di loro avevano vite affascinanti, ma tormentate: pensiamo a storie famose come quella di Leopardi o Beethoven, ma anche (mi perdonerete) alla malinconia di Marilyn Monroe, o perchè no…alla solitudine di Mia Martini. Vite diverse, speranze diverse, tutte anime inquiete che cercavano in ogni modo di riversare le proprie paure e le proprie speranze nella scrittura, nella musica, nello studio o nel lavoro, regalandoci alcune delle pagine, delle musiche o delle emozioni più belle che siano mai state prodotte. Una delle domande che mi sono sempre posta è se queste persone avrebbero preferito una vita serena alla follia e al genio che li hanno caratterizzati. Forse che Van Gogh avrebbe barattato il suo vaso di girasoli per un po’ di spensieratezza? Ma cosa avrebbe perso l’umanità senza queste vite sacrificate? Questo è però un altro ragionamento che richiederebbe un approfondimento a parte.
Sono convinta, insomma, che le storie più straordinarie siano il risultato del calvario di chi le vive per riscattare una ferita irrimarginabile e che più sia grande questa ferita, maggiore sarà l’inutile sforzo per curarla e di conseguenza lo straordinario risultato raggiunto. Credo però che tutti, nessuno escluso, abbiamo in fondo una ferita che ci accompagna e che guida le nostre azioni. Tutti combattiamo una guerra quotidiana, credendo erroneamente che vinta la guerra, rimargineremo la ferita. Non è così: la più bella delle poesie non avrebbe mai consolato Leopardi, emozionarsi al suono della propria musica non avrebbe reso Beethoven una persona diversa. In particolare le persone più sensibili – gli animi inquieti – non troveranno pace nel risultato delle proprie azioni, che non sarà mai abbastanza. Al massimo possono trovare consolazione nella lotta che tende verso la pace: nel muoversi verso una direzione, regalandoci vite alle quali siamo tutti debitori.
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