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Un’altra volta in viaggio: il Perù (parte 1)

Un’altra volta un viaggio. Un’altra volta incontri e lunghe chiacchierate per cercare di capire, per provare almeno a comprendere usanze lontane, abitudini millenarie e storie curiose.

Comincio il mio racconto da Agua Caliente, una località che forse non vi dirà nulla, ma si tratta di niente di meno che di Machu Picchu, o meglio la cittadina sorta sotto la montagna su cui si trova Machu Picchu, sostanzialmente per ospitare i turisti. Da qui le rovine si raggiungono in due modi: scalando la montagna! Oppure in Bus, i primi dei quali cominciano a partire alle 5 del mattino, ma chi lo sa a che ora cominciano a mettersi in fila le persone, perchè alle 4, quando sono arrivata io, c’era già una lunga coda davanti a me. Per quale motivo direte voi? Lo avrei capito per davvero solo un paio d’ore dopo: quando alle sei del mattino, al freddo, sono entrata al parco archeologico lo spettacolo che si è aperto sotto i miei occhi mozzava letteralmente il fiato. L’antica città Inca era li,  ai miei piedi. Ed era ancora addormentata. Bellissima. Con le stradine vuote e i Lama che si aggiravano tra gli scavi. Verso le 11, quando sono andata via, lo spettacolo era completamente diverso, invece.

Nel mio giro tra le rovine Inca sono stata accompagnata da una guida che non solo mi ha spiegato come è stata ritrovata Machu Picchu, come era suddivisa e come è stata liberata dalla vegetazione che l’aveva ormai invasa dopo secoli di abbandono in seguito all’arrivo dei conquistatori spagnoli. Ma mi ha raccontato qualcosa in più del Perù, della sua gente, della sua cultura ed io come al solito ho ascoltato, ho aperto le orecchie e il cuore ed ho ascoltato bene. Mi ha parlato della Pachamama, la nostra Madre Terra, venerata dagli Inca e ancora oggi pregata dai Peruviani o almeno da quelli di etnia Quechua come era la mia guida. La Pachamama ci offre tutto quello di cui abbiamo bisogno ed è per questo che di tanto in tanto si vedono peruviani gettare per terra del cibo o delle bevande, per ringraziarla e per restituire alla Madre Terra almeno un po’ di quello che generosamente ci regala. È stato molto bello pensare di ringraziare la nostra Terra, in un Mondo che ormai non fa altro che ferirla, deturparla e umiliarla. È qualcosa che dovremmo ricordarci di fare sempre. Poi la guida mi ha raccontato anche una storia curiosa: quando i conquistatori spagnoli sono arrivati in Sud America, hanno visto per la prima volta i Lama e perciò hanno chiesto come si chiamassero ai locali. Loro però parlavano il Quechua, una lingua antica e difficilissima parlata ancora oggi dagli abitanti Andini, così si è creato un curiosissimo malinteso: “Como se llama?” avevano chiesto gli spagnoli.  “llama?!” avevano ripetuto gli indigeni senza capire. Da allora, per via questo fraintendimento, chiamiamo “lama” quell’animale. Una storia che mi ha ricordato quella che avevo sentito in Australia: anche lì quando i conquistatori avevano chiesto agli indigeni come si chiamasse il buffo animale con la tasca, loro avevano risposto “Kangaroo”, canguro! Peccato che in lingua indigena “Kan ga roo” significhi “Non ho capito!”

 

Ho fatto anche io delle offerte alla Pachamama in Perù, soprattutto foglie di coca che ho comprato a poco prezzo nel mercato di un paesino sperduto sulle Ande, dove la gente si veste ancora con gli abiti tradizionali  e il tempo sembra essersi fermato. Niente a che vedere con le minuscole bustine frega-tutisti che vendono a Machu Picchu. Lasciatele perdere! Le foglie di coca, dicevo, le ho prese nel viaggio che dalla bellissima città di Cusco mi ha portata nella foresta amazzonica del Perù. Un viaggio interminabile su strade non asfaltate, ma dallo scenario incantevole tra villaggi arcaici e tombe risalenti al periodo pre Inca. Quando finalmente sono arrivata all’entrata del parco naturale l’avventura era appena cominciata, però io ancora non sapevo cosa mi aspettasse: innanzitutto il freddo e l’umidità. La foresta nebulare amazzonica, infatti, si estende dall’altezza del Rio – che nella parte che bagna il Perù si chiama Santa madre de Dios – fino a 4000 m di altitudine e perciò si passa da pochi gradi sopra lo zero fino a un caldo infernale nell’arco di poche ore! Scendendo dalla montagna, però, la temperatura non è la prima preoccupazione, ma la strada! Enormi frane a strapiombo per circa quattro ore di viaggio…ora capite perchè ho fatto delle offerte alla Pachamama?! Ma anche questa fatica ne è valsa la pena! Nella foresta amazzonica le farfalle sono così tante che ti si posano addosso e sono gigantesche, alcune grandi quanto una mano, e sono coloratissime e belle. Coloratissimi sono anche gli uccelli e i fiori. Ma nella foresta amazzonica vale soprattutto una raccomandazione: non toccare nulla. Nulla! Neanche con i piedi, perciò bisogna mettersi le scarpe ogni volta che si mette un piede per terra, avendo cura di averci guardato prima dentro! Perchè? Perchè in amazzonia le piante urticano e gli animali uccidono, soprattutto quelli piccoli come i ragni e le formiche, si proprio le formiche!

Concludo parlandovi del Lago Titicaca, da dove ho sconfinato in Bolivia (avventura che vi racconterò nella seconda parte dell’articolo). All’interno del gigantesco lago si trovano le isole galleggianti degli Uros, una popolazione che viveva nell’area prima degli Inca e che è fuggita nel lago dopo il loro arrivo, costruendo un arcipelago galleggiante fatto di canne ancorate sul fondo del lago, in perenne ricostruzione. È impressionante vedere come con una sola pianta gli abitanti riescano a fare qualsiasi cosa: la stessa isola su cui vivono, ma anche tutte le case e i mobili, le imbarcazioni e i souvenirs che vendono ai turisti. Tuttavia, a mio avviso, proprio il turismo ha snaturato l’identità di questo popolo, rendendolo per certi versi quasi pacchiano, ma nel lago Titicaca, tuttavia, ho avuto modo di visitare anche l’isola di Tequile. Ebbene, questo è uno dei luoghi più autentici che io abbia mai avuto occasione di vedere. L’isola è a diverse ore di navigazione da Puno, perciò non sono molti i turisti che la visitano, e fanno male! Sull’isola valgono delle leggi diverse rispetto al resto del Perù, non c’è una polizia vera e propria, ma una sorveglianza fatta dagli uomini che indossano uno speciale cappello nero. Qui in realtà tutti gli uomini indossano un cappello, rigorosamente fatto a mano: bicolore per i single, monocolore per gli ammogliati, mentre le donne vestono in abiti tradizionali. Gli uomini, inoltre, portano anche un gilet che era stato imposto secoli fa dai conquistatori spagnoli e che non ha mai più abbandonato la tradizione dell’isola. Ma la cosa che mi ha più colpito laggiù e il modo in cui si salutano i loro abitanti: tutti hanno un taschino nel quale conservano delle foglie di coca e così quando incontrano qualcuno nel loro cammino si scambiano con lui o con lei le proprie foglie, ricevendone indietro altrettante.

 

Infine Lima. La capitale del Perù è una città moderna, dagli angoli caratteristici. In pratica atterri a Lima e sbuchi a Miami! Tra tutti consiglio il quartiere di Miraflores caratterizzato da un parco urbano all’interno del quale vivono dei simpatici gatti che non aspettano altro che farsi accarezzare. La temperatura sempre mite e una tra le migiori gastronomie al mondo fanno il resto in una città fantastica.

 

 

 

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